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Volontariato, qui si incontrano le generazioni

2024-06-15 10:43

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SENTIRSI APPREZZATI E PARTE DELLA PROPRIA COMUNITA',

Volontariato, qui si incontrano le generazioni

Non serve ISTAT per notare a occhio nudo che il volontariato italiano sia animato perlopiù da cittadine e cittadini dai capelli sempre più argentati-

Non serve ISTAT per notare a occhio nudo che il volontariato italiano sia animato perlopiù da cittadine e cittadini dai capelli sempre più argentati. E questo al netto che le statistiche ufficiali alle volte non siano particolarmente performanti nell’intercettare tutti i fenomeni di volontariato “informale” dove i giovani la fanno da padrone.Nonostante tutto però l’associazionismo da anni si interroga sul come attirare le nuove generazioni, come tenere in seno quelle meno nuove e come far convivere l’impegno e lo stile di giovani e differentemente giovani quando ci si spende per il Bene comune.

 

Ovviamente in CSV Milano crediamo che questo “gioco di squadra” sia non solo una sfida aperta, ma anche fonte di riflessione per noi operatori che quotidianamente raccogliamo la voglia di volontariato di un’intera metropoli. Una riflessione necessaria per meglio predisporre strumenti di “inclusione” atti ad aprire, fattivamente, a tutti, proposte di attivazione e partecipazione civica.


 

 

Abbiamo quindi intercettato Mario Cifarelli, presidente del Censin – Centro Studi Intergenerazionale, storico ente, di base a Matera, attivo con differenti denominazioni dal 1984 nella ricerca a valenza sociale concentrandosi primariamente sullo studio delle dinamiche intergenerazionali. A lui chiediamo quale sia, nel volontariato, il possibile punto di contatto tra generazioni spesso così anagraficamente lontane:


 

 

Tutto sta nell’individuazione di obiettivi d’attivazione comune. Quando sono chiari e condivisi, le differenze, le lontananze si restringono. E anzi, per noi senior il volontariato può anche essere un punto di rottura con quella narrazione che ci dipinge esclusivamente come coloro che sostengono il welfare famigliare, accudendo i piccoli e i giovani. Fare i nonni, insomma. Ovviamente siamo anche quello, ma non solo. Anzi, proprio il convergere su obbiettivi comuni ci dimostra che siamo anche altro”.


 

 

Può farmi un esempio pratico? “Certo. Qui a Pomarico, in provincia di Matera, abbiamo sistemato un pezzo di terra demaniale e lo gestiamo tutti insieme, giovani, meno giovani e senior… perché il soggetto ‘giardino’, la sua cura, il suo mantenimento può essere senso comune per ogni generazione e ogni generazione può convergere su di esso con il proprio bagaglio specifico.


 

 

Per esempio gli over 60 qui hanno tutti esperienza da coltivatori e con il proprio bagaglio parlano anche ai più piccini, insegnando. Non dimenticherò mai lo stupore di un giovane quando scoprì da uno di questi senior l’esistenza delle orchidee selvagge, native del nostro territorio… credeva che esistessero solo quelle coltivate, vendute dal fiorista, già invasate…”.


 

 

Ma una volta salvi dal passare esclusivamente come dei nonni-chioccia non si rischia di entrare nel mondo del volontariato replicando, invece, pedissequamente, la vita lavorativa?


 

 

Anche a questo bisogna fare attenzione. Nel volontariato non dovremmo per forza replicare, in formato fotocopia sbiadita, il nostro bagaglio esperienziale lavorativo. Siamo in quella che definiamo nuova età? E allora non dobbiamo avere paura anche di abbracciare una nuova proposta, una nuova via, proprio partendo dall’esperienza del volontariato”.


 

 

Storicamente come Centro Studi ribadite che incontro tra generazioni non significa confusione che fa perdere le differenze, ma allora qual è la specificità dei senior quando cercano un’esperienza di volontariato?


 

 

“Il nostro attivarci ha una sorta di spontaneità nel sentirsi sempre complementari. La nostra generazione andava a cercare gli altri perché sapeva che da soli non ce la potevamo fare o che comunque l’isolamento non ci avrebbe fatto bene.


 

 

Andavo dal mio vicino non solo perché era buona creanza, ma perché le sue capacità tecniche completavano le mie, creando un avanzamento mutuale comune. Era una concretezza generativa. E questo può tornarci utile quando incontriamo le generazioni più giovani, così immerse in un mondo che sa di virtuale. E loro, a loro volta, possono insegnarci che la tecnologia è anche relazione.


 

 

Alla mia generazione non scalda il cuore vederci tramite una webcam, ma percepisce subito, immediatamente, se una nuova tecnologia può migliorare il presente. E questo comprendersi, insegnarsi a vicenda, appunto, avviene quando c’è un luogo, un momento di scambio e un fine comune”.


 

 

Le nuove generazioni sono quelle più disilluse rispetto le istituzioni e spesso sognano in proprio. I senior provengono da un mondo dove le istituzioni e il sognare insieme erano elementi cardine della vita sociale. Non si rischia che questi due modi di sognare siano incompatibili?


 

 

Non c’è concorrenza in questo, mi creda. Non ci si rubano i sogni a vicenda. Abbiamo notato che i senior sono molto inclini a comprendere le speranze e le delusioni delle nuove generazioni, tra precarietà del lavoro, difficoltà abitativa fino ad abbracciare, e non serve citarlo, la necessità di sostegno al welfare famigliare. Il senior può fare molto con la sua azione volontaria.


 

 

Un senior può prendere per mano la disillusione delle nuove generazioni e accompagnarle a scoprire l’importanza e la necessità di Enti pubblici. Un impegno al dialogo che esuli da una parte da una mera contingenza elettorale, cioè dall’accostare la cosa pubblica alla sola sfida politica, ma dall’altra anche – in determinate parti d’Italia – dall’accostare le Istituzioni a meri ‘postifici’.


 

 

In questa missione servono due ingredienti: tempo e pazienza. Questi due elementi, tendenzialmente, sono architravi del presente di un senior in pensione. Quindi in questo siamo perfetti. E attenzione, non parliamo di spiegare solo i massimi sistemi e alti concetti. No, partiamo dal mostrare al giovane quanto le istituzioni possano – senza nascondere i limiti, ovviamente – impattare positivamente sulla sua quotidianità, sulla vita concreta, sul garantire servizi, infrastrutture, una vita bella da vivere, insieme, come comunità”.


 

 

Incontro. Confronto. Ibridazione. C’è però una cosa che solo i senior possono attuare nell’incontro con le nuove generazioni?


 

 

Beh, di certo abbiamo anche la responsabilità di insegnare alle nuove generazioni ad accettare le nuove età che scandiscono la crescita di un essere umano. Siamo, mediaticamente soprattutto, nel pieno della società giovanilistica. Sembra che non si debba invecchiare mai. Spesso anche noi senior ripetiamo come anagraficamente abbiamo magari 70 anni, ma ci sentiamo ancora 50enni. Quando si è giovani capita il contrario per sembrare più grandi. Le nuove generazioni si aggiungono anni, invecchiandosi. Insomma, nessuno tendenzialmente vuole l’età che ha”.


 

 

E una possibile soluzione quale potrebbe essere?


 

 

Intanto bisogna educare ed educarsi a non sentirsi più giovani o anziani del dovuto, ma piuttosto a trovare il proprio ‘significato sociale’ a partire proprio dalla propria età anagrafica. Quando si trova il proprio ruolo nella società, per come si è, per l’età che si ha, non c’è più bisogno di sentirsi altro. Anche perché facendo così si può rigettare le etichette che ci vogliono divisi tra generazioni, quando invece si dovrebbe parlare di intergenerazionalità. Perché solo i senior vengono relegati a categorie sanitarie? Perché ci ripetiamo cose del tipo ‘se c’è la salute, c’è tutto’? La salute forse non interessa anche i giovani? Non abbiamo anche questo in comune?”




https://osservatoriosenior.it/2024/05/volontariato-qui-si-incontrano-le-generazioni/

 

 


 

 

Tra solitudine ed emigrazione

Dai dati dell‟ultima indagine europea sulla salute 2015 (Ehis, wave 2) in Italia, la speranza di vita a 65 anni è più elevata di un anno per entrambi i generi rispetto alla media Ue. Per le patologie croniche, nel confronto con i dati europei, emergono in generale migliori condizioni degli italiani tra i meno anziani (65-74 anni), con prevalenze più basse per quasi tutte le patologie. Proprio questa fascia d‟età considerata dall‟indagine, coincidente con i primi anni di pensionamento, è anche segnata da una ridefinizione dei ruoli sociali: da genitore a nonno/a, da occupato a pensionato”.Ad un cambiamento nel modo di concepire la vita, si modifica il rapporto con il coniuge, con il compagno/a che spesso si è avuti accanto per una vita, c’è più tempo per stare insieme, di condividere quello che accade tutti giorni. Ma la possibilità di vivere con una maggiore rilassatezza i rapporti sociali, liberi dai condizionamenti occupazionali e dalle responsabilità familiari molto spesso si sostituisce ad un fenomeno che caratterizza soprattutto la realtà dei piccoli comuni del Sud Italia: l‟emigrazione di giovani anziani. Le famiglie si disgregan,partono i figli molto spesso unici. Alcuni decenni fa le famiglie non si „dividevano‟ poiché o partivano tutti o perché c‟era sempre qualche figlio o figlia che restava con i genitori. Ma oggi questo fenomeno coinvolge sia i figli che gli stessi genitori spesso anziani. La popolazione sarà più vecchia del previsto e sarà più sola per quel fenomeno che ormai da più parti viene definito il „care drain‟. Certamente le tecnologie e i trasporti rendono meno traumatica la lontananza per esempio all‟interno dell‟Italia ma ci sono momenti, situazioni personali o eventi familiari, pensiamo alla nascita dei nipotini, in cui la vicinanza anche fisica è fondamentale e insostituibile. Allora ecco migliaia di genitori anziani che „emigrano‟, spesso con un pendolarismo stagionale, tra i paesi di origine e i luoghi dove si sonospostati i figli soprattutto per esigenze lavorative. Inizialmente i genitori anziani sono lasciati soli quando i loro figli adulti emigrano per „una vita migliore‟ in Italia o all'estero, e vivono nella speranza di „seguirli più tardi‟, ma che spesso non si realizza. Mentre gli anziani sono la spina dorsale di alcune famiglie che sostengono i loro nipoti, altri sono una „generazione persa‟ da valorizzare. Invece queste persone anziane, a cui ogni anno dedichiamo una giornata, appartengono ad una generazione trascurata perché non solo hanno perso il proprio sistema di sostegno, ma sono anche sono costretti ad emigrare o a rimanere soli. Hanno spesso difficoltà economiche, problemi psicologici e relazionali ma sono troppo orgogliose per parlarne. In realtà le persone anziane rimangono legate alla vita sperimentando i successi e le sfide del vivere quotidiano attraverso la generazione più giovane”.

1 ottobre 2017                                                                                                                            Team Censin

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